
Dalla chitarra all’ukulele
Molti di noi sono arrivati su queste pagine conoscendo già la musica in tutte le sue forme. Il forum pullula di chitarristi ma è presente anche il gruppetto di batteristi, contiamo violisti, pianisti e flautisti. Prendo spunto dalla colonia di chitarristi per addentrarmi in un articolo a volte spinoso, a volte tenero come il burro: i chitarristi e il loro approccio sull’ukulele. Magari sarà il primo di una rassegna di strumenti musicali per vedere che effetto fa passare da uno strumento che suoni da diversi anni alla “pulce saltellante”.
Prima però dammi la mano…
Io non so suonare la chitarra. Ho studiato pianoforte per una decina d’anni, suono l’armonica blues e la batteria ma come ho avuto già modo di dire: suono la chitarra come un ukulele. Riesco ad incidere quattro accordi in fila per uno, le conoscenze che ho sul mio strumento mi permettono di sapere, almeno a grandi linee, dove andare a parare su una tastiera più grande ma mi guardo bene dal dire che la suono. La strimpello, forse. Sono però un attento osservatore e nella marea di stili e tecniche che vengono utilizzate dai chitarristi avrò riconosciuto una miriade di sfumature nel posizionare la mano destra. Per ottenere quel suono ti metti così, per il muting ti metti cosà, per arpeggiare ti conviene fare così eccetera eccetera. Per non parlare poi della chitarra elettrica che se c’era una cosa che mi ricordava sempre il mio amico del liceo, era una questione completamente diversa che richiedeva un approccio distante anni luce dal suono acustico.
Come ho avuto modo di scrivere nella prefazione di No Panic, anche l’ukulele non è da meno: per fare uscire “quel” suono ho visto che conveniva di più piazzare la mano in un determinato modo e suonare all’attaccatura del manico, per arrivare a quelle velocità ho capito che era necessario lasciare andare il polso e per arpeggiare mi sono reso che tre dita erano più che sufficienti. Ci sono quindi delle differenze e dal modo di porsi con le corde potremmo essere più o meno tutti in grado di scindere l’ukulelista dal chitarrista eclettico.
E questo è un male?
Due anni fa magari avrei storto gli angoli della bocca però poi cresciamo tutti, continuiamo ad imparare, aggiustiamo la mira e soprattutto, lo ribadisco, io resto un attento osservatore.
L’ukulele è cambiato, non è più soltanto quel suono agli angoli di Waikiki ma è uno strumento sempre più dinamico, eclettico, forse il più innovativo che la scena musicale di questi ultimi anni abbia mai incontrato. Negare l’evidenza significherebbe non riconoscere i vantaggi nell’avere figure di spicco che aprono lo strumento ad altri mercati, che lo fanno conoscere e lo mescolano con la realtà circostante. È bellissimo perché è il preludio dell’ukulele che irrompe nei jingle televisivi e nelle colonne sonore. C’è ancora un po’ di ignoranza, purtroppo su Rai3 continuano a scambiare guitarlele per ukulele ma è comunque una bella soddisfazione vedere nei loro occhi l’entusiasmo ingenuo che abbiamo provato anche noi col nostro primo modello da 20 Euro.
Pur non dimenticando la tradizione ma anzi, continuando ad abbracciarla e a suonarla con lo stesso piacere dei bei tempi andati, va detto che ormai uscirsene con tecniche prettamente chitarristiche non è più un oltraggio. In definitiva provare un arrangiamento poprock non ha più il fascino innovativo perché noi lo conosciamo fin troppo bene… La logica conclusione è che forse è arrivato anche per l’ukulele il momento di mettere la mano destra così perché ti esce fuori un suono più pulito, scendere col palmo per il muting, usare l’anulare durante un arpeggio eccetera eccetera.
L’ukulele, come tanti altri strumenti, è talmente vasto che non può essere inscatolato solo nell’impostazione hawaiiana.
Questo non vuol dire fare i vaghi
Perché credo sia alla base di ciascun ukulelista che si rispetti, fare uscire quel suono lì… quello bello che ti emoziona… Ma ormai, a distanza di tempo, penso si possa soprassedere sull’impostazione chitarristica e più semplicemente godere degli enormi vantaggi che comporta arrivare dallo studio di una chitarra. C’è indubbiamente più fluidità, le mani si sono già smollate a tempo debito, sai già più o meno dove andare a parare e se ti interessa esclusivamente l’ukulele moderno puoi considerarti già a buon punto. E poi di Sol rientrante non c’è mai morto nessuno!
D’altro canto però, se sei già riuscito ad esprimerti con sei corde potresti incappare in una sgradevole mutilazione. L’assenza di bassi e di ottave potrebbe limitare la tua creatività ed il fatto di dover spingere su alcune cose che prima ritenevi superflue, una su tutte l’estrema mobilità del polso, potrebbe a lungo andare farti desistere.
Pro e contro
Se sei in grado di reinventarti su una nuova realtà con due corde in meno e hai voglia di indagare sul perché l’ukulele non sia semplicemente uno strumento da suonare ma da vivere, i contro non ci sono. Come ho già avuto modo di scrivere in passato, lo studio di questo strumento è particolare e pur avendo incentrato tutto l’articolo sulla tecnica, questo è uno di quei casi in cui l’ukulele lifestyle potrebbe cambiare il tuo modo di suonare.
Devi essere curioso, ci dev’essere voglia di divertirsi e di rimettersi in gioco. Devi “riprogrammare” la mentalità da sei corde togliendone due e non puoi limitarti a riproporre ciò che facevi sulla chitarra sul fratellino minore. È un’altra cosa e per godersela va capita. Ma non è difficile… è un piccolo passo per l’uomo e un grosso passo per l’umanità.
Oh ma che bell’articolo che mi prende diritto al cuore! :)
Piccole riflessioni autobiografiche:
mi sono avvicinato all’ukulele per il suo suono DA ukulele. E intendo quello strummato allegro e spensierato delle “canzoncine” antiquate, non l’ukulele chitarrizzato di Jake Shimabukuro (e qui mi prendo tutte le responsabilità derivanti dalla mia definizione). Quindi ho cercato, al momento che l’ho avuto tra le mani, di fare un reset delle mie conoscenze e cercare di capire COME usare questo nuovo strumento (poi è chiaro, le mani non le potevo resettare dopo 20 anni di chitarra). Per questo non l’ho analizzato più di tanto, ho preso come dato di fatto che il do si fa così, il fa si fa così, il sol si fa così, ecc.. senza stare a capire più di tanto perché (lo so bene, il perché, ma ho fatto finta di non saperlo). Così come l’impostazione della mano destra che mi son reso subito conto andava ben studiata e rivista.
Che chi viene dalla chitarra è avvantaggiato è sicuramente vero (infatti nei miei video suono Shimabukuro, perché è la cosa più vicina a quel che faccio già sulla chitarra), ma non deve condizionare lo studio dello strumento per il suo valore e il suo utilizzo.
Per questo son un po’ “refrattario” al discorso dell’ukulele che suona qualsiasi cosa (col pianoforte ci puoi suonare anche Back In Black, ma sfido chiunque a dire che viene una cosa figa); ritengo che l’uke abbia il suo suono e che vada suonato in quel modo lì, da ukulele.
Piccolo appunto per quanto riguarda la mancanza di due corde. Non la vedo così castrante… anzi, DEVE essere, oltre che una consapevolezza di un nuovo strumento con caratteristiche sue e assolutamente non derivativo, uno stimolo per la creatività e la sperimentazione.. soprattutto per chi è abituato ad avere a disposizione più “spazio”. Stai in quelle 4 corde e vedi cosa puoi fare, sicuramente robe non troppo convenzionali a cui non avresti mai pensato!
(scusate ho scritto troppo :-/ )
hehehe sfruzzo colpito e affondato :)
sì, la penso esattamente come te con qualche sfumatura qua e là. dando per scontato che la mano sinistra potrà ricevere solo benefici dall’esperienza sulla chitarra, forse la mano destra bisognerebbe rivederla un attimo nel caso intendi approcciarti in “quel” modo. almeno, questo è quello che ho notato io. ma anche nel mio caso… venendo da una vita sul pianoforte, non ho affrontato la questione dal punto di vista chitarristico e ciò che ho scritto sono solo osservazioni generali su concetti piuttosto ampi. “dal pianoforte alla chitarra” è un’altra storia e un altro articolo :)
Sono d’accordo con Marco. Premesso che non sarei capace di suonare Jake Shimabukuro sull’Ukulele (sono un chitarrista dilettante, amatoriale, con una tecnica appena sufficiente), da quando ho preso questo nuovo strumento tra le mani ho cercato, anzi sto cercando, di capire quali sono le sue potenzialità, le sue caratteristiche intrinseche, cercando di evitare di rifare cose che magari alla chitarra rendono poi meglio. Per adesso ne ho individuate un paio: il Sol rientrante, che però devo ancora capire come sfruttare, e la sonorità diversa di corde più sottili su una cassa meno ampia. il chunk (si dice così), le triplette, danno una soddisfazione che almeno io sulla chitarra non provavo. E mi piace molto il blues, come resa. Sulle canzoni farei un distinguo: per esempio, Guantanamera rende, Creep dei RH meno, ovviamente mio personalissimo parere. Comunque, un mondo affascinante tutto da scoprire!
In effetti tempo fa era venuto fuori anche un altro argomento su cui mi piacerebbe spendere un po’ di parole: cosa funziona e cosa non funziona sull’ukulele. Dando per scontato che ci si possa suonare tutto (con i dovuti magheggi ed accorgimenti) bisogna vedere quali sono i pezzi che esaltano di più lo strumento e quali finiscono con l’essere una mera dimostrazione di superpotenza : )
Io ho suonato in passato diversi strumenti a corde, diciamo che provengo dalla chitarra d’impostazione rock maggiormente. L’ukulele mi fece innamorare per il Sol rientrante. Da qualche mese ho fatto però un percorso inverso e sono passato al Low G. Continuo però a suonarlo come se mancasse una corda nella maggior parte dei casi, ma amo molto il suono “più pieno” del Low G. Questione di gusti. Per me l’ukulele non è una chitarra mutilata, anzi è uno strumento che ha stimolato la mia fantasia e mi ha aiutato a comporre pezzi che sulla chitarra non sarebbero mai nati. E’ vero che, soprattutto per l’effettistica, affondo a piene mani nel mondo dei “chitarrai”, ma credo che non sia un male. Gli effetti secondo me possono regalare delle sfumature ai suoni molto particolari..l’importante è ricordarsi di avere tra le mani un ukulele!
ma infatti ormai gli effetti sono diventati quasi un must per chi presenta lo strumento dal vivo… non c’è assolutamente da vergognarsi! dipendesse da me, metterei il tremolo ovunque…