Hawaii e Italia in musica

Ieri sono stato stato ad un workshop tenuto dagli Heart & Soul (Chris Salvador e Jody Kamisato) e organizzato dall’Ukulele Club of Hawaii presso il Windward Mall di Kaneohe. E’ una bella iniziativa organizzata da Joe e Kristen Souza di Kanile’a che riunisce il quartiere una volta al mese tramite lezioni gratuite e mini-live. Per l’occasione è stato montato un palco al centro dell’atrio più qualche tavolo per permettere ai partecipanti di stare più comodi. Alla fine del workshop ho avuto l’onore, come artista Kanile’a di salire sul palco con i miei due “colleghi” per una jam e un paio di pezzi dal mio ultimo disco.

In realtà come cosa è abbastanza inusuale ma non nel senso che non si suona mai in un centro commerciale ma perchè da quello che ho visto quasi tutti hanno un palco fisso dove poter ospitare eventi. Ad Ala Moana, il più grosso shopping mall di Honolulu, ce n’è uno con balconata e posti a sedere intorno e davanti il palco.

Questo probabilmente sottolinea il forte legame degli hawaiiani con la musica. Gli piace proprio… e si vede. Sul palco ho eseguito la mia versione di “Volare” e pur non capendo assolutamente nulla di ciò che stessi dicendo erano tutti impazziti di gioia! Questo va in netto contrasto quando in Italia ci troviamo di fronte ad un gruppo che canta in una lingua sconosciuta. Da Borders, una catena di librerie abbastanza conosciuta negli USA, c’è un reparto apposito per i CD. Stavo dando un’occhiata ai dischi e mi è subito saltata all’occhio la presenza di due pareti di musica “hawaiiana”. Prendevano più o meno lo stesso spazio della categoria “pop rock”. Su quegli scaffali erano presenti ukulelisti affermati ma soprattutto CD di artisti che se vai a leggere il retro copertina, sono privi di etichetta. Magari sono arrivati da Borders tramite un management, certo è che non si tratta del cammino di Santiago a cui siamo abituati in Italia per entrare come “prodotti” nei negozi di dischi. Il prezzo medio di un CD si aggira intorno ai $15 per non parlare delle numerose offerte di artisti internazionali al di sotto dei $10.

Questo mi ha fatto riflettere su come a volte si possano proteggere e stimolare gli artisti locali nel dare di più… fare di più… perchè alla fine arrivare ad acquisire una certa notorietà è un percorso lineare a cui accedono solo quelli che continuano a credere in ciò che fanno. Con questo non voglio dire che è semplice vincere un Na Hoku Award ma quantomeno si ha in mente il percorso che bisogna fare per avere un’opportunità.

Vista da fuori la comunità di musicisti hawaiiani è molto chiusa. Sono tanti e questo è inutile negarlo. Anche in questo caso si tratta di occupare 10 posti su 10.000 presenti e la competizione per accaparrarsi il proprio è tanta. Però è anche vero che siamo in un’isola e per quante persone possano esserci alla fine si conoscono tutte. Entri nella loro comunità ed improvvisamente diventi amico di tutti. Ti ritrovi ad andare a sentire il tuo amico/musicista che suona il giorno dopo in quel ristorante e alla fine la serata ti passa in allegria.

Mi stupiva sentire i loro discorsi su altri artisti che normalmente, in un altro paese, verrebbero citati come icone assolutamente intoccabili mentre qui sono semplicemente amici che si incontrano al centro commerciale il Sabato pomeriggio.

Un paio di settimane fa sono stato ad una Solo session di Jake Shimabukuro a Maui e durante lo spettacolo raccontava la sua prima volta sul palco, di quanto potesse essere alta la tensione e di come alla fine… non impressionò nessuno! A fine concerto Jake, uno dei musicisti più importanti delle isole si è fermato sul palco per stringere la mano a chiunque. Piuttosto diverso dall’immagine dei rocker 15enni in giacca di pelle che animano la “musica” in Italia. Questo mi ha portato ad una piccola riflessione mentre me ne tornavo all’ostello dopo il concerto… Si è vero, impressionare chi ti ascolta è importante per avanzare di livello ma purtroppo in Italia non basta. Devi riuscire a conoscere persone che solitamente è impossibile conoscere. Devi trovarti al punto giusto nel momento giusto e soddisfare diverse richieste di mercato. Devi essere in grado di confezionare il prodotto musicale facendogli credere che dovranno spendere il meno possibile per portarlo sugli scaffali e guadagnarci (loro) qualcosa.

Jake spiegava di come per firmare il contratto con la Sony fosse stato necessario creare una società di management ad-hoc perchè in fondo il pubblico, nella sua ingenuità pensava fosse abbastanza lineare anche questa cosa al di fuori delle isole.

Vivere di musica alla Hawaii però è difficile. Ci sono le esibizioni per strada a Waikiki Beach dove non devi rendere conto a nessun gestore di cosa suonare e quando suonare (come sta facendo da tempo un altro mito locale, Troy Fernandez) ma non ci tiri su uno stipendio e per entrare come artista fisso in qualche hotel o resort vale la regola che ti devono sentire e devono sapere chi sei. Altrimenti è difficile. Almeno su questo Italia e Hawaii vanno d’accordo. Mi chiedo se il ragionamento non sia dovuto al fatto che negli hotel di Waikiki circolino prevalentemente turisti estranei al modo di pensare dei residenti. Tuttavia, gli artisti emergenti ritrovano questa situazione anche nel cercare un ingaggio settimanale presso ristoranti e bar. A Honolulu è più difficile ma in altri posti, come ad esempio Paia a Maui, non è difficile incappare in storie di artisti che si esibivano per strada e in un secondo momento sono stati portati “dentro” nei vari locali che animano la nightlife delle isole.

In conclusione posso dire che le Hawaii respirano musica durante tutta la giornata. In questo quadro si inserisce perfettamente l’anima dell’ukulele. Poteva nascere e affermarsi soltanto qui, in una scena artistica dove conta di più l’amore in quello che fai rispetto al valore aggiunto che puoi portare a fine mese all’azienda. Non esiste lo stress, non esiste competizione, l’unico problema che hanno gli ukulelisti è quello di mostrare ai bambini che l’ukulele può essere uno strumento per divertirsi e non soltanto uno strumento serio, esattamente il contrario di ciò che succede in Italia. L’ukulele non è nato per divertirsi, è nato per fare musica e per diffonderla col sorriso in qualsiasi modo possibile. Non me ne voglia chi fino a ieri ha erroneamente pensato che l’intrattenitore incarnasse la vera anima dell’ukulelista passato e moderno. Non è proprio così.

L’ukulele è nato con l’Aloha e nell’istante in cui riesci a capire cosa significa non te la togli più. Farai di tutto per portarla in giro per il mondo e per quanto mi riguarda ci sto provando.

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