Marco Ligabue e l’ukulele di Jontom

Era più o meno un mese fa che mi riaffacciavo in Emilia, varcavo l’A1, pranzavo al Cantagallo e arrivato alla storica tappa di Reggio, sede degli Insomnia Studios, invece di girare proseguivo per Correggio ormai ribattezzata Ligacity. Ero arrivato intorno alle 15 per incidere l’ukulele sull’album d’esordio di Marco Ligabue, ex chitarrista dei Rio, fratello di Luciano, all’inizio della sua carriera da solista.

201208111619-800-croppedalessio-pibe-lini-piermario-morosiniCaffettino per aprire le danze (probabilmente il quinto della giornata), chiacchierata rilassata sull’Aloha Spirit e dopo un po’ Marco mi fa sentire “Casomai” sui divanetti del Dudemusic Studio. Il pezzo era stato scritto per ricordare il suo amico, PierMario Morosini, calciatore del Livorno deceduto l’anno prima. Stando alle sue parole e a quelle del “Pibe”, il suo manager, non si trattava della ballata commemorativa triste ma piuttosto un onesto e sincero ricordo, un pezzo tuttosommato sereno di chi guardava avanti portandosi dietro le cose belle. Era un pezzo sull’amicizia, su ciò che era stato, sul giusto valore al dolore che ti porti dietro che ti fa semplicemente incazzare… però poi diventa il sorriso nel ricordo di quei momenti vissuti insieme.

A livello ideologico mi avevano già convinto. Seriamente, il concetto di una canzone del genere proposta con l’ukulele cercando di ricreare suoni leggeri e al tempo stesso profondi mi aveva steso. Per me l’ukulele è esattamente questo: la leggerezza nel trasmettere note che possono arrivare a pesare come macigni. Non potevo non entrare in studio con un disegno assolutamente nitido di come andava suonato. A livello melodico semplicemente funzionava, già sapevo che mi sarei fatto il viaggio di ritorno canticchiando il riff iniziale e che dopo pochissimo mi avrebbe invaso inesorabilmente il cervello. Esattamente quello spazio di tempo che intercorre fra il divano e la chiusura della porta in sala d’incisione.

Portiamo l’ukulele in un lungo viaggio…

Marco Ligabue ukuleleChe bella cosa. Poter suonare sull’album d’esordio di Marco Ligabue per me è un motivo di vanto sotto tantissimi aspetti. Bisogna innanzitutto rendergli atto che invece di far incidere l’ukulele al chitarrista mostro che lo accompagna, ha scelto di affidarsi ad un ukulelista… e questa, a differenza di molti altri artisti che optano per la soluzione casalinga, è una cosa di cui dovrebbe andare orgoglioso soprattutto lui.

Nella mia parte di ukulele non trovi lo strumming di “Hey Soul Sister” ma l’hawaiian style nel suonare il riff e delle soluzioni armoniche a cui un chitarrista forse non sarebbe arrivato. Ci sono i polpastrelli nell’interludio e gli accenti nel bridge… C’è veramente un mare di roba funzionale all’idea: facciamo suonare un ukulele e non una chitarra in miniatura.

Per me non si è trattato della solita “marchetta” e dal momento in cui ho beccato il video su Youtube ho iniziato a farlo girare fra i miei amici perché oh… mi piace un botto! Mi piaceva subito dopo averlo ascoltato la prima volta e mi piace ancora di più mentre ascolto il risultato finale. E lo so che a volte sono fin troppo naif… ma c’è una sincera gioia nel condividere il video fra i miei contatti, come quando posti sulla bacheca di qualcuno un video figo trovato su Youtube!

Il mix del brano è impeccabile ma questo era anche prevedibile dal momento che la mastermind dell’intero progetto è Corrado Rustici, il mix è di Stefano Ricco’ e lo studio è il Dudemusic che ha visto nascere fra gli altri, i dischi di Luciano Ligabue e Francesco De Gregori.

Chiudo l’articolo/diario di viaggio con il primo di singolo di Marco “Ogni piccola pazzia”, in rotazione su tutte le radio, che precede l’uscita dell’album prevista per la fine di Maggio.

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2 Comments

  1. Ciao Jontom. Perdonami la franchezza, ma non mi trovi assolutamente d’accordo sulle cose scritte su questo articolo. Premetto che ti seguo da molto tempo, ho acquistato i tuoi metodi che trovo ottimi, così come reputo il tuo stile e le modalità con le quali cerchi di trasmettere delle nozioni musicali, assolutamente validi.
    Ma quando mi parli di Marco Ligabue e di ‘sto pezzo come qualcosa di imperdibile, beh…mi viene da pensare:”Ma che te sei fumato?”. Ti prego, non piegarti anche tu alle leggi del marketing, altrimenti mi deprimo. Voglio capire che quando si può lavorare, si deve farlo (soprattutto di questi tempi…anzi, io avrei suonato pure coi take that) ma non dirmi, ti prego, che questo quì è uno che merita un passaggio in radio e addirittura un disco (registrato dove poi?Negli stessi studios in cui ha registrato il fratello. E con chi?Con lo stesso personaggio che gli impacchetta il progettino e che da anni collabora con il tale imparentato di poco fa). Come in tutti i settori o meglio, come ogni cosa nel nostro paese, c’è bisogno dello sponsor e quelli che non ce l’hanno s’attaccano e tirano forte:così il pezzo di Fracc…zo da Velletri pur essendo veramente bello incontra il veto del Gota della musica (i vari Rudy Zerbi della situazione) e manco la radio locale te lo passa, mentre quello di Marco Ligabue potrebbe diventare la ballad de noi antri perchè dietro c’ha un’intelaiatura di strategie e personaggi che funzionano.
    Ripeto Jon, massimo rispetto per te , ma BBBASTA co ‘sta manica de raccomandati.

    Un affettuoso saluto.

    matteo

    1. Eh… la tua è una gran bella risposta che merita una pausa con sigaretta e scrittura approfondita.

      Intanto ti faccio una lunga premessa: dalla prima all’ultima cosa che faccio si evince che non mi piego alle regole del mainstream. Proprio non gliela posso fare. Non tanto quelle di marketing perché ormai è implicito nel lavoro di musicista e per mangiare devo capirne il funzionamento… Però puoi stare sicuro, tranquillo e sereno che non farò MAI la fine loro. Non gliela faccio… Ti puoi scaricare gratuitamente il mio ultimo album Lilikoi, ti regalo I Need You Both con No Panic e porto avanti il mio format “Si può fare sull’ukulele” su Youtube… alle mie regole, senza piegarmi. Non riuscirei a fare altrimenti perché mi prende il mal di pancia e se non sorrido mentre faccio qualcosa, preferisco non farla.

      Ogni tanto ci scappa la collaborazione per motivi di sopravvivenza e la faccio volentieri perché le prime cose che dico sono sempre rivolte alla diffusione dello strumento verso persone che ne ignorano addirittura l’esistenza. È con questo punto di vista che preferisco farmi un festival di musica piuttosto che un festival di ukulele che alla fine si rigira su se stesso… Affronto lo scetticismo del pubblico e se porto a casa un sorriso (il loro) mi sento come dopo Roma – Siena 4 a 0. Mi piace di più andare dagli sconosciuti piuttosto che cercare di rafforzare la statua laminata in oro di Jontom nei circoli di ukulele sparsi per il mondo :D
      Ma anche i miei video, se potessi portarli su una piattaforma più ampia per mostrare le gioie del mio strumento sarebbe una bella cosa… nel frattempo però lavoro duro e mi spacco le chiappe autoproducendomi tutto, convintissimo che il duro lavoro prima o poi ripaga. Sono io il principale sponsor di me stesso e faccio di tutto per essere l’unico responsabile del mio lavoro nonché artefice di opportunità.
      Ad essere onesti mi ha già ripagato quindi mi tiro fuori dal tuo discorso sul nascere perché proprio non c’entra niente con il mio stile di vita, con il mio modo di vedere la musica e su come posso essere molto più ricco e appagato di gente che vive in attesa del prossimo provino e del prossimo incontro “casuale”!

      Hai ragione nel puntare il dito contro i raccomandati ma fossi in te mi preoccuperei di più dell’ukulele suonato in qualsiasi pubblicità e trasmissioni televisive su La7, sempre dalla stessa persona. Perché invece di far ascoltare il “tocco dell’ukulelista” e l’ukulele lifestyle, ci si affida all’insider che si improvvisa su questo strumento con gli occhiali scuri ed il plettro in mano, esclusivamente perché ora va di moda.
      Quella è l’espressione più agghiacciante di come la mafia musicale in realtà esiste e non tiene conto di nulla. È anche l’ennesima dimostrazione di come quel mondo lì in realtà sia regolato esclusivamente da favori/simpatie/parentele e solo in minima parte dalla meritocrazia che nel frattempo manda avanti il resto del mondo.

      Quello sì che è dannoso.
      Marco Ligabue no.
      E te lo dico serenamente perché dopo un pomeriggio passato insieme, mi sono sembrati sia lui che il manager abbastanza onesti nel progetto che stanno portando avanti. Hanno rotto il salvadanaio e hanno scelto di affidarsi a determinate persone. Che poi ci siano in mezzo dei vantaggi nell’appartenere ad un determinato giro è innegabile… però in questi casi che fai? Non ci devi provare nemmeno perché pare brutto? Non lo so… Mi sembra eccessivo. Anche perché comunque quei vantaggi a cui accenni alla fine sono molto relativi e se sono stati sfruttati, vengono dopo una bella gavetta come chitarrista dei Rio e webmaster. Non ce lo vedo ai festini tristi in posa per le foto. Non mi sembra l’identikit del pischello gettato sul palco perché la mamma conosceva Maria de Filippi.

      Me ne sono uscito con questo articolo perché ho suonato esattamente quello che speravo di suonare: ukulele pop con reminiscenze hawaiiane. Non un ukulele che imita la chitarra e quindi via al riff hawaiiano sulle seste, strumming particolari, chunk… il tutto confezionato ad-hoc per farsi ascoltare da quel pubblico più ampio a cui mi riferivo prima, nella speranza che qualcuno di loro imbracci il mio strumento come magari ho fatto io secoli fa.
      Per quanto riguarda il pezzo in sè dai… se lo paragoni ai capolavori della musica è chiaro che esce fuori con le ossa rotte però se ti limiti ad ascoltare le frasi semplici… i primi tentativi di scrivere qualcosa di “musicale” e la voglia di esprimere un pensiero e una certa atmosfera, secondo me alla fine ci sta.
      Sarebbe stato banale e quasi scandaloso, con un tema del genere, uscirsene con l’ennesima ballatona al pianoforte e invece mi piace l’idea che ci sia la leggerezza/profondità hawaiiana nel parlare di un amico che gli è venuto a mancare l’anno scorso. Non è scontato.
      E sarebbe stato ancora più semplice utilizzare l’ukulele come fa quel signore a cui mi riferivo poche righe più sopra e invece, in questo caso, una volta esaudite le richieste sono stato lasciato libero di incidere quello che volevo. Ed è così che è nato un pezzo diverso, unico nel nostro mercato musicale, il primo episodio di italian/hawaiian style.

      Alla fine, il fulcro del discorso per me è ascoltare un ukulele VERO suonato da un ukulelista VERO. Mentre tutti lo prendono talmente sotto gamba da affidarlo al chitarrista di turno, Marco e Alessio hanno tirato fuori i soldi e ingaggiato il professionista. Tolto il fatto che il mio giudizio è inficiato anche dal fatto che li conosco, a pensarci bene, anche solo per questo punto non puoi che stringergli la mano.

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